Intervista Carlo Vanin

"...le persone tendono a scegliere quelle aziende che danno l’opportunità di gestirsi in termini di flessibilità, autonomia e capacità di gestire il proprio tempo in modo personalizzato."

 

Raccontaci come è composta la popolazione di CAREL e come si è evoluta negli ultimi anni.

La popolazione di CAREL, storicamente, ha sempre avuto una grossa predominanza di figure impiegatizie sia in Italia sia a livello di Gruppo. La proporzione è sempre stata di quasi un 70% di impiegati e circa un 30% di operai, percentuale che negli ultimi anni si è un po’ modificata a favore della popolazione degli operai, anche a seguito delle ultime acquisizioni.

In particolare, avendo acquisito società produttive in Germania e negli Stati Uniti, e aperto siti produttivi in Croazia, la percentuale di persone assunte con qualifica di operaio è aumentata e oggi, sostanzialmente, si può dire che sia salita a oltre il 40%, contro un 60% di impiegati. Nonostante questo rapporto, abbiamo comunque una forza lavoro molto qualificata perché una parte considerevole è composta da popolazione impiegatizia dove c’è una grande presenza di ingegneri o laureati in materie tecnico-scientifiche. Poi, ovviamente per il futuro bisognerà capire come evolverà il mercato, come evolverà l'azienda, come evolverà la strategia, anche a seguito delle acquisizioni.

 

Diversità e sostenibilità: come si sta muovendo CAREL su questi temi?

Negli ultimi anni si è cominciato ad affrontare i temi della diversità e della sostenibilità in modo molto strutturato e pianificato. Lo spartiacque rispetto al passato è stato il 2018, con la quotazione in Borsa. Tutti i temi relativi alla diversità e al mondo dell'Ambiente, del Sociale e della Governance sono entrati in maniera "importante" nelle iniziative aziendali dopo la quotazione in Borsa. Esiste un piano di sostenibilità che è stato definito dal consiglio d'amministrazione nel 2021: è un piano molto articolato e ambizioso perché si fonda su 55 obiettivi dai quali poi discende tutta una serie di progetti, di iniziative e azioni che l'azienda intende promuovere sia a livello italiano che a livello di Gruppo.

Per quanto riguarda la Diversity, siamo consapevoli che dobbiamo creare un miglior bilanciamento tra presenza femminile e presenza maschile anche nelle posizioni apicali, perché siamo convinti che un miglior equilibrio possa portare a migliori risultati dal punto di vista del business e a una migliore sensibilità verso alcuni temi inerenti la gestione operativa e l'organizzazione della società. Esiste purtroppo un tema legato alla poca disponibilità di figure femminili in ambito tecnico e ingegneristico, però ci stiamo lavorando e speriamo di riuscire gradualmente a colmare questo gap.

Per quanto riguarda la sostenibilità, invece, c'è un'attenzione molto forte al tema ambientale, attraverso iniziative che coinvolgono anche i dipendenti. Cerchiamo di legarla anche ad azioni concrete sul territorio, di preservazione dell'ambiente e della riduzione del livello di inquinamento, della riduzione dell'uso della plastica e così via.

Abbiamo poi adottato tutta una serie di iniziative che tendono a promuovere l'inclusione di alcune categorie come le persone con disabilità o che hanno una serie di svantaggi. Ciò avviene anche attraverso una sensibilizzazione con iniziative di comunicazione e di coinvolgimento dei dipendenti in eventi organizzati dall’Azienda.

 

Parliamo del work life balance: com’è evoluto l’approccio negli ultimi anni e come ti aspetti che cambierà nel prossimo futuro?

Il tema del work-life balance è molto importante nel mondo del lavoro e nel mondo delle aziende.

Una premessa doverosa è che il mercato del lavoro e il mondo del lavoro sono profondamente cambiati negli ultimi tre anni, a seguito di mutamenti che in realtà erano già iniziati prima della pandemia. E dei quali noi avevamo avuto avvisaglie e segnali abbastanza chiari già nel 2017/2018.

Ovviamente la pandemia è stata un acceleratore formidabile. E il tema del work-life balance è centrale perché è un'esplicita richiesta e necessità espressa da moltissime persone. Il bisogno di flessibilità non è solo legato alla possibilità di lavorare da remoto, da casa o da qualsiasi altro luogo di lavoro che non sia l'ufficio classicamente inteso. La flessibilità riguarda anche il fatto di avere una gestione flessibile e personale degli orari di lavoro, quindi non ingabbiata o inquadrata su schemi predefiniti, in modo che le persone possano comunque gestirsi in maniera più autonoma.

È richiesta una grande attenzione da parte delle aziende che devono ovviamente rispondere a tali richieste dei propri collaboratori attraverso un’opportuna ed adeguata gestione ed organizzazione del lavoro. Ma è anche un tema di attrattività, nel senso che siamo in un mercato del lavoro in cui la domanda, spesso e soprattutto per alcune figure professionali, è molto superiore all'offerta, e quindi questo aspetto sta diventando un elemento di scelta importante, perché le persone tendono a scegliere quelle aziende che danno l’opportunità di gestirsi in termini di flessibilità, autonomia e capacità di gestire il proprio tempo in modo personalizzato.

C'è una grande discussione nel mondo del lavoro per cercare di capire se questo cambiamento è frutto della pandemia. Si tornerà poi a modelli pre-pandemia? Io credo di no, anzi credo che questo sarà un cambiamento irreversibile. Il fatto di avere dei modelli di gestione delle persone basati sulla fiducia, sul lavoro per obiettivi e non legati al numero di ore effettivamente lavorate che ad oggi sono ancora un po’ abbozzati, nel futuro diventeranno a mio parere lo standard. Ci vorrà ancora un po’ di tempo... ma credo che la strada sia orami tracciata.

"La generazione Z è attenta a un mondo che sia più equo, sostenibile, dove i valori, gli ideali di attenzione verso gli altri, sono molto più spinti rispetto a quello delle generazioni precedenti."

Quali sono i profili maggiormente ricercati? Variano a livello di Gruppo?

I profili più ricercati sono tecnici, ingegneri, legati alla conoscenza del nostro settore di riferimento, dagli ingegneri meccanici agli elettronici, agli esperti ovviamente di informatica, softwaristi, designer e così via.

Questi sono i profili che alimentano uno dei principali, se non il principale, driver di sviluppo di questa azienda, che è quello legato al mondo dell'innovazione. Innovazione tecnica essenzialmente. Credo che questo continuerà ad essere, ancora per moltissimi anni, il filone principale per l'azienda.

Il Gruppo è cresciuto tantissimo e oggi le competenze di cui abbiamo bisogno, anche a seguito della quotazione in Borsa, sono molto più trasversali e diversificate rispetto a cinque o dieci anni fa. Abbiamo bisogno, per esempio, di figure che abbiano un'esperienza e una preparazione legate ai nuovi canali con i quali si comunica sia internamente che esternamente.

Tutto il mondo del digital, per esempio, e il mondo dei servizi. Molto significative, dal punto di vista della ricerca, sono anche le competenze in ambito finanziario, legate al fatto che siamo quotati in Borsa. Un altro settore, che richiede una forte presenza con competenze molto strutturate, è quello della "Compliance", sempre a seguito della quotazione in borsa e alle connesse attività di auditing.

 

Come l’innovazione tecnologica sta incidendo sulla selezione di nuovi colleghi?

Da più parti si dice che l'evoluzione tecnologica, e in particolare l'introduzione di nuovi strumenti legati all'intelligenza artificiale, andranno a modificare profondamente quelli che sono i contenuti di alcune mansioni e il modo in cui si svolgono alcune attività, anche in ambito HR, e nell’ambito di selezione delle persone anche se questa cosa è più futuristica che attuale. Oggi come oggi ancora non si vede tantissimo, esistono degli strumenti che di fatto vanno sempre filtrati e dove l'intervento dell'uomo è ancora molto forte e assolutamente rilevante.

Però credo che per il tipo di evoluzione che hanno questi strumenti, in particolare l'intelligenza artificiale sia molto reale. E non credo ci vorrà tantissimo per avere sistemi o comunque piattaforme che consentiranno di svolgere gran parte del processo di selezione del personale, quindi di fatto riducendo l'intervento dell'uomo nel processo di recruiting.

Quello che oggi già vediamo (e questo è uno degli effetti della pandemia) è che molte fasi del processo di selezione avvengono non in presenza, ma attraverso colloqui da remoto. Addirittura, ci sono alcuni scambi che avvengono anche via e-mail e attraverso la condivisione di informazioni su piattaforme di instant messaging, come Whatsapp. Questo avviene già molto di più rispetto al passato. E questi strumenti vengono tanto più utilizzati e tanto più apprezzati quanto più giovani sono i candidati che si vanno a selezionare. Quindi, credo che l'impatto dell'intelligenza artificiale si noterà molto da qui ai prossimi cinque, dieci anni, anche nel mondo HR. Su molti aspetti di formazione e recruiting, e sul tipo di risorsa ricercata.

Perché, se ci sono degli studi che già ci dicono che molti dei profili sui quali oggi si fondano le aziende fra dieci anni non esisteranno più perché saranno sostituiti dall'intelligenza artificiale, di converso, si cercheranno profili che oggi non sappiamo nemmeno identificare esattamente, e che dovranno avere magari più competenze software, del mondo digitale in generale, addirittura del mondo legato ai social network. Più di qualcuno sostiene, ad esempio, che l’AI soppianterà totalmente i motori di ricerca e segnerà il declino di Internet come lo conosciamo oggi.

 

"Credo che il futuro richiederà, alle persone che lavorano in tutto il Gruppo, una forte capacità di gestione e di approccio al cambiamento."

Com’è evoluto il ruolo delle risorse umane nel corso degli anni? Quali sono le “nuove” esigenze da parte dei candidati rispetto al passato?

Il ruolo delle risorse umane si è evoluto moltissimo. La versione classica del mondo HR è molto legata all'attività di recruiting e alla formazione, cioè all’erogazione di conoscenza per far crescere il livello di competenza delle persone. Tendenzialmente, esiste una terza parte che si sta molto riducendo, quella delle relazioni industriali e del rapporto di natura sindacale, che però sta cambiando moltissimo. L’HR è sempre più un partner del business e quindi deve essere in grado di leggere con anticipo i fenomeni che accadono all’esterno nel mercato del lavoro e deve essere in grado di affrontare in maniera anche innovativa e creativa le soluzioni per poter soddisfare le richieste dei "line managers" in ambito recruiting. Oggi il mercato del lavoro è molto fluido, scarso in termini di persone che servono all'azienda, globalizzato e intergenerazionale; per cui devono convivere all'interno dell'azienda figure che fanno parte dei baby boomers, della generazione Y e della generazione Z. C'è sia gente che ha 60 anni che gente di 20: sono mondi totalmente diversi.

L’HR ha il ruolo di farsi partner, di anticipare, come dicevo prima, i trend che ci sono nel mercato del lavoro, essere un facilitatore e un fluidificante di una serie di dinamiche all'interno dell'azienda; essere sempre più una figura che capisce il business, capisce quali sono i prodotti, i mercati, i clienti e i problemi. Deve essere anche preparato sui temi finanziari, sapendo bilanciare il tema delle performance con quello dei costi, ed essere una figura che ha una preparazione molto più trasversale e a 360 gradi rispetto al passato. Importante è comprendere le esigenze dei candidati, soprattutto nelle zone ad alta densità industriale come il Triveneto e parte del Nord Italia, dove si fa veramente fatica a reperire risorse competenti. Si fa fatica proprio perché c'è un mismatch incredibile tra domanda e offerta e oggi forse il problema più consistente che abbiamo è anche quello di essere sufficientemente attrattivi verso le nuove generazioni.

Questo tema di attrattività lo si vede per esempio nella nostra non grande capacità di attrarre la Generazione Z, cioè i nati dopo il 1995: stiamo studiando il fenomeno, cercando di capire perché siamo poco attrattivi verso queste generazioni e perché, una volta che riusciamo ad attrarre queste risorse, poi con molta facilità le perdiamo; è un tema anche affascinante, perché si approcciano generazioni che hanno un sistema valoriale, un rapporto con il lavoro e con la progettualità legata al lavoro che è totalmente diversa rispetto alle generazioni precedenti: quello che conta è fare esperienza, a prescindere dal fatto che ci si trovi bene o meno. Non è facile costruire per il futuro, perché comunque si è consapevoli che sono persone che rimangono per uno, due, massimo tre anni, e poi decidono di cambiare. E si fa fatica a investire in termini di formazione, di conoscenza e di percorsi di carriera.

Quello che cambia, anche nel rapporto con il denaro, è il rapporto con il progetto di vita. Questa generazione in genere non è molto legata al tema della proprietà, non ha l'interesse a comprarsi una casa, a comprarsi una bella macchina, a farsi una famiglia. Ha un interesse molto più sfumato, vivendo non dico alla giornata, ma appunto misurandosi più sull’obiettivo di fare un'esperienza. Per l'azienda ciò è inizialmente un valore aggiunto, per l’entusiasmo che viene portato: ci sono molte idee anche un po’ "disruptive" rispetto allo status quo, e questo è un bene. Però poi si fa fatica a costruire perché non c’è garanzia di continuità. Il work life balance è una questione che incide: il tema del bilanciamento, della flessibilità è basilare per le giovani generazioni. Ovviamente, non prendono neanche in considerazione l'idea che non si possa lavorare da remoto: si dà per scontato. E hanno sicuramente una più forte e più significativa sensibilità verso i temi sociali e il rapporto con l'ambiente. Sono molto attenti a un mondo che sia equo, sostenibile, dove i valori, gli ideali di attenzione verso gli altri, sono molto più spinti rispetto a quello delle generazioni precedenti.

 

Quali difficoltà vengono incontrate maggiormente nella ricerca di nuovi colleghi?

La primissima difficoltà è che c'è un fortissimo mismatch tra domanda e offerta. Non solo in Italia, ma in quasi tutti i Paesi nei quali l'azienda opera a livello Gruppo, con rarissime eccezioni, il livello di domanda di alcuni profili è molto superiore all'offerta. Questo genera ovviamente tempi di ricerca molto lunghi che spesso non sono compatibili con quello del business, che ne risente in modo negativo. L'azienda cerca ormai da diversi anni di aumentare il suo livello di attrattività in termini di employer proposition, introducendo in maniera strutturale il lavoro da remoto, facendo investimenti su nuovi building, una nuova mensa, nuovi edifici anche all'estero, nuovi plant produttivi molto più moderni ed evoluti. Ciononostante, lavoriamo in un settore di nicchia e quindi anche la conoscenza del nostro brand è ancora molto limitata e questo ovviamente ci penalizza. È già stato fatto un lavoro enorme, ma dobbiamo a mio parere lavorare molto di più sia sulla comunicazione interna, che su quella esterna, al fine di essere più attrattivi.

Come ci proponiamo? Quali canali dobbiamo utilizzare? Qual è lo storytelling con cui ci proponiamo esternamente?

Recentemente ho partecipato a un convegno dove si diceva che l’HR diventerà sempre più una funzione di marketing perché ci sarà bisogno della capacità di sapersi vendere sul mercato. Questo non deve essere inteso come l’abilità di "vendere" un’immagine dell’Azienda che non sia veritiera, ma piuttosto nella ricerca di quegli aspetti valoriali e culturali che sono in grado di attrarre l'attenzione delle persone, come se l'Azienda diventasse un prodotto da vendere sul mercato, esaltandone le caratteristiche positive. Il mercato sarà sempre più competitivo da questo punto di vista e le aziende tenderanno a farsi molta competizione, non solo nel business, ma anche nella ricerca di talenti in generale.

 

CAREL nel 2035: come sarà composta la popolazione CAREL? Descrivici i profili che ti immagini la comporranno.

Nel 2035 CAREL sarà un'azienda totalmente diversa rispetto a oggi, con una fortissima componente di innovazione, perché questo è il nostro "fil rouge" da sempre e continuerà ad esserlo a tutti i livelli. Mi piace pensare che sarà un'azienda dove si porteranno idee, cambiamenti, innovazione anche a livello di organizzazione.

Oggi le grandi aziende come Google, Apple, ecc hanno un’organizzazione di governance che cambia i processi continuamente. Credo che il futuro di CAREL prevederà sempre di più questo approccio al cambiamento, non dico continuo, ma comunque abbastanza frequente, e richiederà alle persone che lavorano in tutto il Gruppo una forte capacità di gestione e di approccio al cambiamento. Credo che, in futuro, le persone che fanno fatica a cambiare e che sono resistenti al cambiamento faranno veramente fatica a lavorare, a inserirsi e integrarsi in un certo tipo di contesto.

E credo che CAREL non farà la differenza in questo senso. Mi immagino appunto un'azienda dove figure più senior e figure più junior saranno in grado di lavorare bene insieme, di scambiarsi bene informazioni e conoscenze e sapranno contaminarsi positivamente in modo proficuo. E poi credo e spero che comunque il DNA dell'azienda rimanga un po’ sempre lo stesso, dove c'è una grande informalità, una grande capacità di stare insieme, al di là dei temi di business che saranno sempre centrali, ovviamente, perché l'azienda fa business e deve fare profitto; ma ci sarà anche la centralità delle persone, l'attenzione ad aiutarsi e cooperare e sostenersi anche nei momenti difficili.

Saremo un'azienda dove lo slogan potrebbe essere "high tech & human touch", quindi dall'alto contenuto tecnologico, ma dove la sensibilità e il tocco umano non dovranno mai venire meno.

 

 

 

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